Descrizione
Domenica 2 novembre 2025 si è tenuta la cerimonia di deposizione delle corone d'alloro presso i monumenti ai caduti di Piazza Umberto I e di Piazzale IV Novembre.
Alla cerimonia, oltre all'amministrazione Comunale, presenti una rappresentanza del Consiglio Comunale dei Ragazzi, che ha letto un proprio intervento, la tromba del Corpo Musicale "La Serenza" e l'Associazione Nazionale Carabinieri.
Il dicorso del Sindaco Stefano Tomaselli:
Un caro saluto da parte di tutta l’amministrazione e grazie per essere qui presenti oggi, grazie a don Riccardo pe la sua preziosa presenza, grazie all’associazione nazionale carabinieri, sempre disponibile e attenta, grazie al corpo musicale la Serenza che ci accompagna con le sue note, e un grande grazie al consiglio comunale dei ragazzi e al suo sindaco che danno valore anche a questa ricorrenza.
Ci troviamo riuniti oggi per commemorare la giornata del 4 Novembre, data che segna la fine della prima guerra mondiale che portò al completamento dell’unità d’Italia e che celebra il sacrificio di tutti coloro che sono caduti e che hanno offerto la propria vita per l'Unità, l'Indipendenza e la Libertà del nostro paese.
Questa giornata, sebbene celebri la vittoria della Prima Guerra Mondiale, è oggi soprattutto un richiamo alla responsabilità e al valore della Pace, maturato attraverso il dolore dei conflitti passati. Responsabilità che troviamo sancita nella nostra costituzione: infatti La Repubblica Italiana ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
E questo principio fondamentale sospinga il nostro ricordo per l’impegno delle forze armate in Europa e nel mondo perché siano e restino oggi uno strumento di pace, stabilità e sicurezza al servizio della comunità internazionale e perché agiscano a difesa della stabilità e dell'integrità territoriale e come supporto umanitario nei paesi martoriati dalle guerre.
In questa giornata è soprattutto doveroso ricordare tutti i conflitti ancora in corso che riportano l'orrore della guerra in Europa e nel mondo, con un impatto drammatico sulle popolazioni civili inermi e che ci impongono di non restare indifferenti, al contrario devono rafforzare in noi l'imperativo morale e politico perché ci si adoperi per una soluzione pacifica e giusta, fondata sul rispetto dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario.
Il valore della Pace non è negoziabile, noi oggi possiamo celebrarne i benefici anche attraverso la commemorazione e la riconoscenza verso tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita perché non vivessimo più giorni di guerra, bensì perché potessimo vivere da persone libere.
La pace non è solo assenza di conflitto, ma la costruzione di condizioni di giustizia, libertà e prosperità che consentano ad ognuno di vivere in sicurezza e autodeterminazione.
Allora oggi un pensiero particolare va riservato alle nuove generazioni, perché le giornate di commemorazione, come quella odierna, non rimangano solo eventi storici da ricordare, bensì siano memoria di un passato da vivere come lezione di coraggio, dignità e speranza per un futuro migliore così da formarsi come promotori e costruttori di comunità e di un mondo in cui la giustizia prevalga sulla violenza, e la cooperazione sul sopruso.
Onore ai caduti, Viva la Repubblica, Viva la Pace.
L'intervento del Consiglio Comunale dei Ragazzi e delle Ragazze della Scuola Secondaria di Primo Grado Gino Strada
Oltre a festeggiare l’unità nazionale, la ricorrenza di oggi intende celebrare il sacrificio di tanti italiani chiamati alle armi, le cui vite sono state spezzate; il sacrificio di molti soldati che, anche giovanissimi, hanno perso la vita.
Coi miei compagni e la Professoressa Lizzio, abbiamo pensato di proporre la lettura di un passo tratto da “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu, come fonte di riflessione sull’assurdità della guerra. In queste pagine, Lussu e un caporale della sua brigata si appostano in un punto di osservazione vicino alla trincea nemica; da lì si accorgono che gli austriaci vivono in trincea come gli italiani, prendendo il caffè del mattino e aspettando il rancio. Il caffè è il momento della RIVELAZIONE: osservando gli austriaci compiere azioni quotidiane e banali come muoversi, parlare, e prendere il caffè, il narratore si rende conto che il nemico non è un mostro, ma semplicemente un altro essere umano, un soldato che condivide la stessa routine e gli stessi bisogni primari (bere, mangiare, parlare). L'atto di "prendere il caffè" è il simbolo di una normalità e di una quotidianità che la guerra tenta di cancellare. La guerra non è più uno scontro tra italiani e austriaci, ma un crudele e insensato massacro di uomini contro altri uomini.
Gli austriaci, nemici o uomini? [Tratto da Emilio Lussu, “Un anno sull’Altipiano”]
Addossati al cespuglio, il caporale ed io rimanemmo in agguato tutta la notte, senza riuscire a distinguere segni di vita nella trincea nemica. Ma l’alba ci compensò dell’attesa. Prima, fu un muoversi confuso di qualche ombra nei camminamenti, indi, in trincea, apparvero dei soldati con delle marmitte. Era certo la corvée del caffè. I soldati passavano, per uno o per due, senza curvarsi, sicuri com’erano di non esser visti. [...] Mai avevo visto uno spettacolo eguale. Ora erano là, gli austriaci: vicini, quasi a contatto, tranquilli, come i passanti su un marciapiede di città. 
Ne provai una sensazione strana. [...] Una vita sconosciuta si mostrava improvvisamente ai nostri occhi. Quelle trincee, che pure noi avevamo attaccato tante volte inutilmente, così viva ne era stata la resistenza, avevano poi finito con l’apparirci inanimate. [...] Ora si mostravano a noi, nella loro vera vita. Il nemico, il nemico, gli austriaci, gli austriaci!
Ecco il nemico ed ecco gli austriaci. Uomini e soldati come noi, fatti come noi, in uniforme come noi, che ora si muovevano, parlavano e prendevano il caffè, proprio come stavano facendo, dietro di noi, in quell’ora stessa, i nostri stessi compagni. Strana cosa. Un’idea simile non mi era mai venuta alla mente. [...] E perché non avrebbero dovuto prendere il caffè? Perché mai mi appariva straordinario che prendessero il caffè? E, verso le 10 o le 11, avrebbero anche consumato il rancio, esattamente come noi. Forse che il nemico può vivere senza bere e senza mangiare? Certamente no. E allora, quale la ragione del mio stupore?  [...]
Il movimento cessò all’arrivo d’un ufficiale. [...] Era giovanissimo e il biondo dei capelli lo faceva apparire ancora più giovane. Sembrava non dovesse avere neppure diciott’anni. [...]
Io non vedevo che l’ufficiale. Macchinalmente, senza un pensiero, senza una volontà precisa, ma così, solo per istinto, afferrai il fucile del caporale. 
Egli me lo abbandonò ed io me ne impadronii. [...] Poggiai bene i gomiti a terra, e cominciai a puntare. Avevo il dovere di tirare. Sentivo che ne avevo il dovere. Se non avessi sentito che quello era un dovere, sarebbe stato mostruoso che io continuassi a fare la guerra e a farla fare agli altri. 
No, non v’era dubbio, io avevo il dovere di tirare. E intanto, non tiravo. [...]
Avevo di fronte un ufficiale, giovane, inconscio del pericolo che gli sovrastava. Non lo potevo sbagliare. Avrei potuto sparare mille colpi a quella distanza, senza sbagliarne uno. 
Bastava che premessi il grilletto: egli sarebbe stramazzato al suolo. Questa certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volontà, mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un uomo! [...]
Fare la guerra è una cosa, uccidere un uomo è un’altra cosa. Uccidere un uomo, così, è assassinare un uomo.
Per concludere, vorrei condividere il ricordo di una passeggiata in alta quota suscitato dalla lettura che abbiamo appena ascoltato; un’esperienza forte che due anni fa mi permise di mettermi nei panni dei soldati in trincea. Con un trekking sulle Dolomiti arrivai all’area delle Cinque Torri, uno dei siti storici più importanti della Prima Guerra Mondiale, situata vicino a Cortina d'Ampezzo. Le Cinque Torri rappresentarono un punto strategico cruciale sul fronte italiano-austroungarico tra il 1915 e il 1917.
Quel giorno, man mano che salivo, il panorama si apriva e rivelava l'imponenza delle montagne. All'arrivo, ciò che mi ha colpito, è stato il contrasto tra la bellezza serena delle guglie dolomitiche e la cruda realtà della storia. Ho percorso le trincee restaurate, i camminamenti scavati nella roccia e nella terra. Scendere nelle trincee, tra i fossati di pietra è stato come fare un passo indietro nel tempo. Ho cercato di immaginare il freddo costante, l'odore di polvere da sparo e il silenzio interrotto dal sibilo dei proiettili. Mi ha impressionato lo sforzo dei soldati nel trasportare in alta quota, a 2300 metri di altitudine, attrezzature pesantissime, dai materiali da costruzione ai cannoni; mi ha turbato come la guerra abbia trasformato la montagna in una fortezza e come la montagna sia stata per quei soldati unico riparo sulla testa.
Lassù, tra quelle postazioni, ho compreso ancora meglio l'assurdità di ogni conflitto. Con l'odio imposto dalla guerra, tra uomini con gli stessi bisogni primari, separati solo da una manciata di metri e pronti ad uccidersi.
Ho alzato lo sguardo e, di fronte alla maestosità del Nuvolau, ho provato un senso di profondo rispetto per la fatica e i sacrifici di quei soldati, costretti a combattere una guerra tanto brutale in un ambiente così estremo. 
La visita non è stata solo una lezione di storia, ma una potente riflessione sulla PACE.
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Ultimo aggiornamento: 4 novembre 2025, 11:25